Sport e Politica, comunque legati
Sport e Politica, due mondi considerati distanti, ma che in pratica si intersecano e si alimentano a vicenda, la storia lo dimostra, sono stati l’argomento che ho trattato in una lezione per l’Academy del Giornalismo di Perugia. Un’incontro aperto, grazie alla disponibilità dell’Ordine Giornalisti Umbria, anche ai giornalisti e valido come aggiornamento professionale. 6o i partecipanti da remoto, più due in aula, oltre ai corsisti dell’Academy. Una bella folla e una responsabilità che ho sentito tutta. In tre ore ho parlato dei rapporti tra politica e sport in chiave storica, portando esempi anche fino ai Giochi di Parigi 2024.
Ognuno dei corsisti, come da prassi didattica, ha scritto un articolo di 2400 battute circa sulla lezione-incontro che potete leggere qui di seguito.
Ad uno di quei momenti è dedicata la foto di apertura: è il 12 giugno 1938 la Nazionale italiana di calcio affronta nei Quarti di finale della Coppa di Rimet, il Campionato del mondo, la Francia. Si gioca a nord di Parigi, a Colombes (dove, per la cronaca ad inizio anni Ottanta verranno realizzate le riprese del film Fuga per la Vittoria) e l’Italia scese in campo con una maglia nera, a testimoniare la continuità sul campo da gioco con il regime fascista al potere in Italia. È vero che la Francia non volle cedere la maglia Blu (sono les Bleus esattamente come noi siamo gli Azzurri), con cui giocava le partite casalinghe e che l’Italia avrebbe potuto giocare in bianco, la tradizionale seconda maglia di tutte le Nazionali, ma venne scelto il nero per sottolineare la differenza, all’epoca, fra la dittatura italiana e la democrazia francese. L’Italia, vinse, tra i fischi anche degli esuli politici italiani, per 3-1 con due goal di Silvio Piola e uno di Gino Colaussi. Quella, fortunatamente, fu l’unica volta in cui l’Italia non giocò in Azzurro o in Bianco, ma con i colori del partito al potere.
Gli articoli
Propaganda, nazionalismi e diritti civili | Campo di battaglia simbolico |
La community ideale | Specchio di tensioni e lotte | La propoganda politica | Una questione di identità nazionale | Che rosso era quello della maglia a Santiago del Cile?
Propaganda, nazionalismi e diritti civili
Eugenio Alunni Carrozza
«Sport e politica si intrecciano molto più spesso di quanto possa sembrare». Il giornalista Mimmo Cacciuni Angelone ha aperto così la lezione dedicata ai legami, attuali e storici, tra il mondo sportivo e quello politico. Lo sport, spesso raccontato come un ponte tra culture, è infatti da sempre profondamente intrecciato alla politica, divenendo specchio delle tensioni e delle lotte sociali del proprio tempo. Tre eventi cruciali, avvenuti durante i Giochi Olimpici, illustrano chiaramente questa connessione.
Il primo coincide con l’Olimpiade di Berlino del 1936, progettate dal regime nazista per celebrare la presunta superiorità della razza ariana. La propaganda di Hitler puntava a fare dei Giochi un simbolo del potere tedesco, ma la narrazione del regime venne parzialmente smentita da Jesse Owens, atleta afroamericano che vinse ben quattro medaglie d’oro. Owens si affermò come protagonista indiscusso e le sue vittorie dimostrarono al mondo che l’eccellenza sportiva non aveva colore né ideologia, lanciando un forte segnale di speranza contro ogni forma di discriminazione.
Trentadue anni dopo, all’Olimpiade di Città del Messico del 1968, lo sport divenne nuovamente strumento di denuncia politica. Durante la premiazione dei 200 metri piani, Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio con un guanto nero alzato, simbolo del movimento Black Power, e ai piedi delle calze nere per rappresentare la povertà degli afroamericani. Questo gesto, compiuto durante l’inno nazionale statunitense, era una protesta contro il razzismo e l’ingiustizia sociale. Il loro silenzio sul podio gridava più forte di qualsiasi parola, trasformando una celebrazione sportiva in un momento di rivendicazione universale. Le conseguenze furono dure per i due atleti, ma la loro protesta rimase un’icona delle battaglie per i diritti civili.
Infine, i Giochi di Monaco del 1972 rappresentano uno dei momenti più tragici nella storia dello sport. Durante i Giochi, infatti, un gruppo di terroristi palestinesi prese in ostaggio undici atleti della delegazione israeliana, con l’intento di richiamare l’attenzione mondiale sulla questione palestinese (nella foto AP, in alto). L’operazione si concluse tragicamente con la morte degli ostaggi e di alcuni membri del commando. Questo evento segnò una drammatica cesura: lo sport, che si proponeva come simbolo di pace e fratellanza, si trovò irrimediabilmente vulnerabile di fronte alle tensioni geopolitiche globali.
I tre episodi, molto diversi tra loro, ma legati dallo stesso filo conduttore, confermano come il mondo dello sport non possa mai essere del tutto esente dalle influenze della sfera politica. Che si tratti di sfide contro regimi oppressivi, lotte per i diritti civili o tragici riflessi dei conflitti mondiali, le competizioni sportive continuano a essere teatro di eventi che lasciano un segno indelebile nella storia.
Campo di battaglia simbolico
Andrew Pompili
«Lo sport non è solo partite vinte o partite perse, ma è anche economia, salute, politica”. La dichiarazione del giornalista Mimmo Cacciuni Angelone, espressa durante la lezione Sport e Politica rivolta ai corsisti dell’Academy del Giornalismo Sportivo, svoltasi a Pila, riassume una realtà spesso trascurata: lo sport non si limita al campo di gioco, ma riflette le dinamiche sociali e politiche del proprio tempo.
Nel corso della storia, tre eventi emblematici, tra gli altri, hanno intrecciato sport e politica. All’Olimpiade di Berlino del 1936, svoltasi nel primo stadio costruito per 110.000 spettatori, la Germania nazista celebrò se stessa, il proprio regime e si preparò per conquistare il massimo di medaglie possibile come testimonianza della propria superiorità: alla fine furono 110. Tuttavia, Jesse Owens, atleta afroamericano, divenne simbolo di resistenza morale, vincendo quattro ori e sfidando il razzismo dell’epoca. Trentadue anni dopo, a Città del Messico 1968, Tommie Smith e John Carlos (nella foto) alzarono i pugni guantati di nero verso il cielo in difesa dei diritti civili, un gesto che rimase iconico. Il legame tra sport e tragedia si concretizzò a Monaco 1972, quando il terrorismo colpì gli atleti israeliani, uccidendone 11. Un atto che ebbe pesanti ripercussioni sulla politica internazionale.
Oggi, lo sport continua a riflettere la geopolitica, come dimostra la partecipazione della Georgia all’Europeo del 2024. Dopo aver chiesto ufficialmente lo status di Nazione candidata all’Unione Europea nel 2023, la Georgia ha battuto la Grecia 4-2 negli spareggi, una qualificazione celebrata come un passo importante per un paese che, da ex repubblica sovietica, ambisce ora a entrare nell’Unione Europea. In un contesto simile, il calcio è anche un campo di scontro tra nazionalismi, come nel caso della Turchia, dove i saluti militari di alcuni calciatori durante le qualificazioni del 2019 ad Euro 2020 e le controversie con la Germania sugli estremisti dei “Lupi Grigi” hanno sollevato polemiche internazionali e richieste di sanzioni che furono poi inflitte.
Il rapporto tra sport e potere si estende anche alla NBA, che nel 2022 si fermò durante le elezioni americane di mid-terme, ribadendo il proprio impegno per i diritti civili. Allo stesso tempo, il conflitto tra Russia e Ucraina ha coinvolto il CIO, mettendo in evidenza come lo sport resti un campo di battaglia diplomatico. Lo sport è uno specchio della società, uno strumento di diplomazia e, talvolta, un campo di battaglia simbolico. Forse è proprio per questo che i suoi valori rimangono così universali: integrazione, giustizia e progresso.
Gli articoli
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Community ideale
Simone Anastasi
La lezione del giornalista Mimmo Cacciuni Angelone all’Academy del Giornalismo, che trattava il rapporto tra sport e politica, ha fornito diversi spunti di riflessione su come il legame tra queste due tematiche sia molto stretto, e sulle sue conseguenze riflesse sull’umanità.
Dai Giochi Olimpici di Berlino 1936 in avanti, ci si inizia a rendere conto di come le manifestazioni sportive possano diventare uno strumento di propaganda e di rafforzamento del potere politico. Il primo ad approfittarne fu proprio Adolf Hitler, che sfruttò i Giochi Olimpici come pretesto per mostrare al mondo la grandezza e lo splendore della Germania nazista. Per la prima volta la più importante manifestazione sportiva al mondo si svolse in uno stadio con una capienza di oltre centomila spettatori. Fu il passaggio definitivo da Olimpiadi moderne a quelle contemporanee, che ha portato anche a una nazionalizzazione e politicizzazione degli eventi sportivi.
Dal 2000 in poi lo sport è sempre di più un’occasione di propaganda ideologica e politica, anche nelle più grandi manifestazioni internazionali. Uno dei casi che ha fatto più discutere è stata la squalifica del calciatore turco Merih Demiral, che durante l’Europeo di calcio del 2024 ha esultato dopo un goal a favore dell’associazione terroristica turca dei Lupi Grigi.
«Una partita non è soltanto l’incontro tra due squadre, ma mette di fronte due identità, due culture, due ideologie». Niente di più vero dell’affermazione di Mimmo Cacciuni Angelone, che prende ancora più credito con l’esempio che ha fornito: nel 2023 il Napoli è tornato alla vittoria dello Scudetto dopo trentatre anni, e l’evento ha scatenato l’euforia non solo degli stessi Napoletani, ma anche dei tantissimi turisti accorsi nella città partenopea per l’occasione. Non quantificabile il numero di maglie, sciarpe e gadget azzurri comprati dai visitatori, tra merchandising legale e non, segno però di una grande volontà di immedesimarsi con la squadra e la città e di far parte nella stessa community ideale e, per tanti versi, immaginaria. Anche questo si può considerare un punto di unione tra politica e sport: unione tra temi che hanno cambiato la storia.
Specchio di tensioni e lotte
Alessio Anselmi
«Sport e politica si intrecciano molto più spesso di quanto si possa pensare» così prende avvio la lezione tenuta dal giornalista Mimmo Cacciuni Angelone.
Il tema cruciale è il rapporto di causa-effetto che condiziona sport e politica. Già dal ventesimo secolo, con la nascita di un numero sempre maggiore di attività sportive, gli Stati europei, ma non solo, iniziano a comprendere la forza di penetrazione di queste manifestazioni e di come esse possano essere utilizzate come strumento di propaganda e di rafforzamento dell’immagine sia all’interno del paese sia in politica estera.
Il primo evento che fa da spartiacque fra la politica pre e post utilizzo propagandistico dello sport, sono i Giochi Olimpici di Berlino 1936. Una manifestazione a cui il cancelliere tedesco Adolf Hitler inizialmente non voleva nemmeno partecipare. Il Fuhrer, assertore della superiorità ariana, temeva infatti che, nel remoto caso in cui la Germania avesse potuto perdere l’Olimpiade, sarebbe stato un danno immane per l’immagine internazionale del paese e del regime nazista. Il dittatore tedesco decise infine di confermare la partecipazione per esaltare la superiorità del Reich tedesco, le Olimpiadi di Berlino segnarono infatti il passaggio da Olimpiadi moderne a contemporanee, la cornice di pubblico fu maestosa e per la prima volta si svolsero in stadi di grandi capacità (110 mila posti). Questo è perciò un evento che più che mai segnò il forte legame che si andava instaurando fra sport e politica. I Giochi olimpici persero infatti in questa edizione i loro valori di fratellanza e universalismo, vennero nazionalizzati, politicizzati e globalizzati.
Sport e politica non sono però temi uniti solo nel ventesimo secolo, ma anzi assai moderni, soprattutto negli ultimi anni, lo sport si fa veicolo di propaganda politica, in eventi di risonanza mondiale come l’NBA, gli Europei e i Mondiali di calcio e tanto altro. Nel 2024 per esempio, durante gli europei in Germania, il giocatore turco Merih Demiral, fu squalificato per un’esultanza provocatoria e legata al movimento terroristico turco dei Lupi Grigi. Questo non fu però l’unico episodio che coinvolse la Turchia politicamente all’interno del mondo del calcio, qualche anno prima infatti, la stessa nazionale era stata multata per aver esultato con il saluto militare mentre in medio oriente l’esercito turco era impegnato in una vera e propria repressione della minoranza dei Curdi.
In conclusione, visto l’enorme affermazione dello sport a livello mondiale, appare ormai imprescindibile il legame creatosi con la politica. Che sia giusto o meno sta all’opinione individuale, quel che è certo è che lo sport nasce come un gioco e che ormai da quasi un secolo non è più solo questo.
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La propaganda politica
Cristian Gatti
«Lo sport non è solo partite vinte e partite perse, ma è tanto altro» Così Mimmo Cacciuni Angelone, addetto stampa della Federazione Italiana Pallacanestro, ha aperto la “Sport e politica”, la lezione che si è tenuta presso Villa Umbra. Questo incontro ha voluto mettere in evidenza, con numerosi esempi, come lo sport sia influenzato e condizionato da elementi politici e culturali.
Il punto di partenza sono stati i Giochi Olimpici del 1936 a Berlimo, passate alla storia grazie alle quattro medaglie d’oro vinte da Jesse Owens, ma non solo. Edizione storica poiché diede vita ad una concezione di manifestazione sportiva del tutto nuova, insieme ad una visione propagandistica del nazismo messa in campo dal dittatore Adolf Hitler, e dalla concezione di superiorità della razza ariana.
Altro spunto di riflessione fu all’Olimpiade di Città del Messico del 1968 quando Tommie Smith e John Carlos, in segno di protesta, dai gradini del podio alzarono i pugni guantati di nero al cielo per protestare contro la mancanza dei diritti civili per i neri americani.
La sfera politica ha influenzato anche in tantissime altre occasioni il mondo dello sport: la Nazionale italiana che gioca la partita contro la Francia dei Quarti del Mondiale del 1938 in maglia nera, ad esaltazione del fascismo (nella foto qui sopra); il più recente caso dove giocatori turchi, in segno di solidarietà verso il proprio esercito in guerra in Siria, esultano con il saluto militare; il doping di stato messo in atto dai paesi dell’Est Europa durante la Guerra Fredda.
Lo sport molte volte è stato anche il tramite del tentativo di imporre valori culturali di una nazione ad un’altra. L’esempio più eclatante è stato quello dell’Impero Britannico che con le tratte commerciali e le missioni colonizzatrici utilizzava lo sport proprio per questo questo scopo.
In Italia, ad esempio, è successo nelle principali città portuali italiano (Genova, Palermo, Napoli) dove gli inglesi arrivavano per motivi commerciali, e insieme ai prodotti hanno importato anche il gioco del soccer.
«Non tutte le ciambelle, però, riescono col buco» dice Cacciuni rendendo l’idea di come questa non sia una legge esatta, facendo l’esempio di come per motivi culturali e religiosi, radicati nelle colonie indiane, sport come il calcio non abbiano preso piede, ma lo hanno fatto sport come il cricket e l’hockey, ma anche l’australian football, variante del rugby.
Non sono mancate anche considerazioni sull’attualità a conferma del fatto che lo sport e la politica sono legate da un filo indistruttibile e che, oggi ancora di più, uno si trova inevitabilmente influenzato dall’altro.
Una questione di identità nazionale
Alessio Modarelli
«La gara non è solo l’incontro tra due realtà sportive, ma è anche un intreccio fra identità culturali e geopolitiche». Così Mimmo Cacciuni Angelone, addetto stampa della Federazione Italiana Pallacanestro, si è espresso nel corso di una lezione, sul tema dello sport legato alla politica. Un argomento che ha avuto sempre più peso nella agenda mediale globale, con numerosi casi che hanno visto lo sport diventare l’asset da giocare sul tavolo delle relazioni internazionali.
Ad esempio l’Ungheria del primo ministro Viktor Orbán, ha investito un miliardo di euro nel progetto di rinascita calcistica. Un piano che va oltre i confini del campo da gioco e che punta a rendere il paese più credibile a livello politico. In fondo l’onore sportivo e quello di Stato, sono due facce della stessa medaglia. Né è un caso emblematico l’Ucraina, che nonostante la tragedia della guerra contro la Russia, continua a far partecipare le proprie rappresentative nei principali eventi sportivi intercontinentali. L’intento è chiaro: polarizzare la propria posizione tra un Occidente amico, e un Cremlino sempre più isolato.
A volte anche la sola partecipazione a una competizione sportiva può diventare l’apripista per la realizzazione di un progetto politico. Nel marzo 2024 la Georgia, fino al 1991 una repubblica sovietica, ottiene la prima storica qualificazione al Campionato Europeo di calcio (in squadra anche l’attaccante del Napoli Khvicha Kvaratskhelia, nella foto). Un successo celebrato soprattutto dal premier Irakli Kobakhidze. La Georgia aveva ottenuto lo status di candidato all’Unione Europea. La partecipazione a EURO 2024 viene vista e capitalizzata, dunque, nell’ottica di un ulteriore passo, verso l’approdo nella più importante organizzazione politico-continentale.
Anche oltreoceano, lo sport è spesso uno strumento di prim’ordine di sensibilizzazione su temi civili e sociali salienti. Ad esempio in occasione delle ultime elezioni presidenziali americane, i giocatori di tutte le franchigie NBA hanno indossato nel riscaldamento una maglietta con la scritta “Vote”. Un messaggio per esortare i cittadini ad andare a votare. Tuttavia la Lega diretta dal commissioner Adam Silver non è nuova a questo tipo di iniziative. Nell’elezioni di metà mandato (mid-term) del novembre 2022, fu deciso un turno di stop del campionato per permettere a milioni di americani di recarsi ai seggi, nella speranza di aumentare lo scarso tasso di affluenza.
Che rosso era quello della maglia a Santiago del Cile?
Giorgio Lucarini
«L’identità sportiva ha spesso coinciso con quella politica». Un commento, quello del giornalista Mimmo Cacciuni Angelone, a cui è difficile controbattere: sport e politica sono infatti due dimensioni incredibilmente vicine l’una con l’altra, al punto che basta la semplice entrata in campo di due squadre per notarne lo stretto contatto tematico.
L’azzurro delle divise italiane, adottato prima nel calcio ad inizio Novecento e poi da tutti gli altri sport, si basa sull’azzurro dellolo stemma della casa dei Savoia, che ha regnato in Italia fino al referendum del 1946. Per Cacciuni, il chiaro esempio di una scelta in ambito sportivo che pur se dall’alto, diventa identitaria e si tramanda: ed ecco che, a quasi 80 anni dall’esilio dell’ultimo Re d’Italia Umberto II, le maglie delle Nazionali sono ancora azzurre.
Uno strappo a questa regola avvenne proprio per motivi politici, durante la finale di Coppa Davis di tennis del 1976 che si è svolta in Cile durante i primi anni della dittatura militare di Augusto Pinochet. La Nazionale italiana decise di affrontare gli avversari e padroni di casa cileni nel doppio indossando una maglia rossa nei primi tre set, prima dell’intervallo. Ufficialmente dichiarata come il rosso del tricolore della bandiera italiana, in realtà era una scelta chiaramente legata agli eventi politici che avevano preceduto quella sfida – in primis la scomparsa dell’ex-presidente comunista Salvador Allende, deposto ed ucciso- a cui si ispirava la peculiare scelta dei tennisti Adriano Panatta e Paolo Bertolucci.
Momenti storici differenti, due colori diversi, ma una simile conclusione: che lo sport, nel bene o nel male, non può non prescindere dalla politica. E così Cacciuni introduce una serie di altri esempi nei quali i regimi politici entrano con prepotenza nelle discipline sportive: l’Olimpiade di Berlino 1936, che il regime nazista utilizzò come occasione per promuovere la superiorità della razza ariana; il “doping di stato” effettuato a cascata nei confronti degli atleti della Repubblica Democratica Tedesca tra gli anni ’70 e ‘80, pratica riutilizzata da altri Stati autocratici come in Russia nell’ultimo decennio e che ha portato a numerose squalifiche anche dai Giochi Olimpici; fino all’influenza di leader autoritari come Viktor Orbán e Recep Tayyip Erdogan nel mondo del calcio, ed in particolare nelle rispettive squadre Nazionali di Ungheria e Turchia.
I casi sarebbero ancora numerosi, ma per Cacciuni questi bastano per riconoscere il connubio tra lo sport e l’identità politica, e che nel momento in cui indossiamo la maglia del nostro paese stiamo facendo qualcosa che va ben oltre lo sport stesso.
Gli articoli
Propaganda, nazionalismi e diritti civili | Campo di battaglia simbolico |
La community ideale | Specchio di tensioni e lotte | La propoganda politica | Una questione di identità nazionale | Che rosso era quello della maglia a Santiago del Cile?
A cura di
- Eugenio Alunni,
- Alessio Anselmi,
- Simone Anastasi,
- Cristian Gatti,
- Giorgio Lucarini,
- Alessio Modarelli,
- Andrew Pompili