A tu per tu

20 Settembre 2024
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«Si portano 100 informazioni, per utilizzarne 30». Sintetizza così il giornalista Stefano Bizzotto un’intera carriera dedicata giornalismo sportivo, scandita da telecronache e interviste a personaggi anche di fama internazionale. Cordiale e professionale, si racconta davanti a noi, partendo dal suo esordio nel lontano 1982, fino ai più recenti incarichi in Rai. Una passione che lo spinge a soli 19 anni a seguire le orme di Marco degli Innocenti, ex corrispondente de «La Gazzetta dello Sport», e a muovere i primi passi all’interno del panorama sportivo. Il resto è storia. Una storia minuziosamente incasellata in un vasto archivio personale di 2500 fra file, cassette e video, custoditi gelosamente da Stefano Bizzotto.

Bizzotto, come è riuscito a realizzare una teca così preziosa e importante?
Sorride sornione. In passato reperire immagini e video era di gran lunga più semplice rispetto ad oggi, la policy sui diritti non era così rigida. Io avevo iniziato a conservare tutto ciò che passava sotto mano. Poi, un mio amico che lavorava come programmatore informatico, mi propose di realizzare un database digitale. Stento ancora a credere come sia riuscito ad archiviare tutto il mio lavoro.

Le immagini raccolte per l’archivio hanno tutte lo stesso valore?
No. Ci sono diverse immagini e video ai quali sono molto legato. Ricordo, ad esempio, di quando riuscii a confezionare il coccodrillo su Pelè, andando a ripescare delle immagini del suo incontro con Jimmy Carter. A volte delle buone immagini possono trasformare un articolo banale in un ottimo articolo.

Cosa può dirci, invece, delle telecronache? Ci sono delle partite che ricorda maggiormente?
Spesso si tende a pensare erroneamente che il giornalismo sportivo sia una categoria di serie B. In TV o in radio il pubblico ha bisogno di comprendere ciò che accade in campo, ma il silenzio non va sottovalutato. Nel 2021 durante la semifinale di Coppa Italia mi trovai in seria difficoltà, perché non riuscivo a comprendere che cosa avrei dovuto trasmettere al pubblico con la mia voce.

Cosa suggerisce ad un giornalista che vuole diventare un telecronista?
Non esiste un modo unico di fare telecronaca. Dopo la mia prima nel 1994, da solo, mi resi già conto che la telecronaca perfetta non esiste. La bravura sta nell’essere abili ad uscire dai binari delle competenze puramente tecniche, per trovare ulteriori spunti.

 

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A cura di
  • Ludovica Laghezza