Rieti. Sulle orme di Willie e Kobe. Viaggio nella città che ama il basket e non li dimentica

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14 Marzo 2025
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Il 4 marzo ho avuto l’opportunità di recarmi a Rieti, città di quarantamila abitanti dalla grande tradizione sportiva. Proprio nella città laziale i Romani avevano individuato l’Umbilicus Italiae, l’ombellico d’Italia, il centro esatto d’Italia. Nella seconda metà del novecento, la città è stata, grazie alla Sebastiani Rieti, una delle capitali della pallacanestro italiana, raggiungendo grandi traguardi sia nazionali sia continentali, contribuendo a rendere il basket un aspetto identitario della città.
La società reatina ha annoverato tra le sue fila tanti giocatori di rilievo da Willie Sojourner, idolo locale a cui è intitolato il palazzetto, e che giocò nella stagione 1982-1983 anche nella Italcable Perugia, passando per gli spoletini Roberto Brunamonti e Domenico Zampolini, fino ad arrivare a Joe Bryant. A Rieti ha mosso i primi passi cestistici il terzogenito di “Jellybean”, Kobe, che sarebbe diventato uno dei giocatori più iconici della NBA e della pallacanestro mondiale (nella foto di apertura il centro campo a lui dedicato con i due numeri di maglia che ebbe ai Lakers). Di questo e altro ho conversato insieme a due importanti e noti tecnici di settore giovanile: Gioacchino Fusacchia e Claudio Di Fazi. Quello che segue, ne è il resoconto.

A. M.


Kobe Bryant, noi che l’abbiamo conosciuto

«Ero il responsabile del settore giovanile della Sebastiani Rieti e si presentò la mamma, Pamela Cox Bryant, con questo bambino che era veramente piccolo. Il minibasket era per i ragazzi nati nel 1975, mentre lui era del ‘78, dunque eravamo un pò scettici sul fatto che potesse allenarsi e giocare con i ragazzi più grandi. Gli facemmo fare un piccolo riscaldamento, seguito da alcuni esercizi e ci rendemmo conto sin da subito che si trattava di un bambino con qualità fuori dall’ordinario. Veniva agli allenamenti con grande entusiasmo, era un grande appassionato». Così Claudio Di Fazi (nella foto a destra), oggi coach del Basket Club La Foresta Rieti, squadra del circuito societario della New Project Children (NPC) Rieti, racconta il primo approccio alla pallacanestro di Kobe Bryant, leggenda mondiale del basket e figlio di Joe, all’epoca giocatore della Sebastiani Rieti.

Con lui Gioacchino Fusacchia, 65 anni, anch’egli tecnico delle giovanili del Basket Club La Foresta e da più di 40 anni un punto di riferimento della palla a spicchi reatina: «Tra aprile e maggio organizzammo un torneo al PalaCordoni destinato ai ragazzi nati nel ‘75 e nel ‘76. Kobe non era incluso perché del ‘78, tuttavia si presentò al palazzetto con tutta la famiglia e a Joe Bryant non si poteva dire di no. Entrato in campo dopo pochi minuti giovava solo lui. Non passava la palla ai compagni e la rubava costantemente agli avversari. A un certo punto sul 10-0, con Claudio decidemmo di toglierlo. Kobe la prese come una bocciatura e si diresse in tribuna a piangere dai genitori. Per rimediare alla fine gli consegammo il premio di miglior giocatore del torneo, un riconoscimento che in realtà nel minibasket non esisteva».

Nondimeno Fusacchia sottolinea una grande qualità  di Black Mamba, la straordinaria capacità di apprendimento: «Joe Bryant con la famiglia era giunto a Rieti nell’agosto 1984, ad aprile dell’85 Kobe già parlava fluentemente l’italiano, mentre le sorelle e i genitori avevano qualche difficoltà. Era molto intelligente e aveva una naturale attitudine ad imparare. Era altresì furbo, quando gli dicevi qualcosa che non gli andava, faceva finta di non capire».

Una parentesi anche sulla tragica scomparsa dell’ex campione dei Los Angeles Lakers, della figlia Gianna e di altre 7 persone, avvenuta il 26 gennaio 2020 a causa di un incidente in elicottero: «Quella notizia fu come se ci avessero annunciato la morte di un familiare -afferma Fusacchia- anche se dopo la parentesi reatina, noi non lo avevamo più sentito».

 


Rieti e i suoi grandi campioni: «Willie Sojourner, il nostro Maradona»

Nei pressi dell’acropoli di Rieti, nel Piazzale Adolfo Leoni ha sede il PalaCordoni. Inaugurato nei primi anni 70, è stato fino al 1975 la casa dell’allora AMG Sebastiani Rieti, che poi si è trasferita nell’attuale Pala Sojourner. Sottoposto nel tempo a vari interventi di ristrutturazione, ospita oggi gli allenamenti della New Project Children Rieti, società che milita nella Serie B Nazionale. «In un certo senso questo palazzetto l’abbiamo inaugurato noi – asserisce Gioacchino Fusacchia ( nella foto a sinistra), coach del settore giovanile del Basket Club La Foresta, compagine legata al circuito della NPC Rieti – A quei tempi tutti giocavano a basket, il calcio non esisteva. Sia per strada, sia nelle parrocchie si praticava quasi esclusivamente la pallacanestro. Addirittura c’era chi usava i secchi dell’immondizia come canestri. Italo Di Fazi insieme ad altri dirigenti, volle costruire una società che guardasse anche al settore giovanile, che nel tempo divenne un vero e proprio fiore all’occhiello . I migliori giocatori umbri venivano tutti da noi, da qui nacque l’epopea dei vari Roberto Brunamonti e Domenico Zampolini».

Conferma Claudio Di Fazi da più di un trentennio coach fra settore giovanile e prime squadre, con un passato da giocatore nella Sebastiani Rieti: «Mio padre Italo insieme ad altri era riuscito a costruire un modello societario che era diventato un punto di riferimento italiano. Erano arrivati ottimi risultati come la vittoria della Coppa Korac nel 1980». Inoltre fra l’inizio degli anni 70 e la prima metà degli anni 80, erano giunti a Rieti da oltreoceano vari cestisti americani, tra cui il compianto Willie Sojourner, che giocò nella formazione sabina  dal 1976 al 1982: «Era una persona socievole e divertente- afferma Di Fazi- Passavo spesso le trasferte con lui , ci divertivamo a bere e a giocare a carte». Anche Fusacchia lo ricorda con affetto: «Willie per noi era ciò che Maradona rappresentava per Napoli. Ha fatto innamorare un’intera città della pallacanestro».

Focus sul settore giovanile, croce e delizia dell’attuale movimento cestistico italiano: «Quando un giovane si avvicina al basket, insisto molto sui fondamentali- afferma Di Fazi- Senza quelli non è possibile giocare. Purtroppo oggi si tende ad esasperare l’aspetto fisico ed atletico a discapito della tecnica». Sulla stessa lunghezza d’onda è Gioacchino Fusacchia: «Si vedono oggi dei ragazzi che a 12 anni arrivano a schiacciare ma poi non sanno palleggiare. Bisognerebbe tornare a una metodologia maggiormente improntata sui fondamentali».

 

 

Alessio Modarelli Alessio Modarelli